O meglio, il contenitore di tutte le fobie. Per
spiegare quello che sta succedendo in questo preciso istante nella testa di qualche ignaro passante, che credeva di essere sano peggio
di un pesce sano, mentre ora, ahimè
- leggendo queste poche righe – dovrà ingiustamente ricredersi. Poiché scoprirà
di essere affetto da una qualche fobia
che prima non pensava nemmeno lontanamente di avere. Signori miei, rullo di
tamburi: la “nèktarofobia”. Ma
procediamo con ordine. Facendo da subito un piccolo excursus etimologico della parola “nectar” – intesa come la controparte italiana di “nettare”, cioè ripulirsi – e di “nèktar” (dal greco “nèkros”, ossia “morte”, e da “terèo”, che
sta invece per “proteggere”). Ma a
noi interessa maggiormente la versione latina, che non leggermente quella
greca. Ricordandovi che il termine “fobia”
deriva direttamente dal greco (esattamente
da “φόβος”, ossia "paura"), e indica un malessere
continuo e persistente che si attiva specificatamente quando la ragione umana è solita crollare a zero. A zero o quasi. O come quando, in
matematica, ti parlano di “proporzionalità inversa”: al salire di
uno, l’altro scende. E viceversa. Solo che adesso qualcuno potrebbe giustamente
chiedersi: “E quindi?”. E quindi… è presto detto: “Dicesi ‘nèktarofobia’, la paura inconscia di doversi ripulire la suola delle scarpe dopo ‘aver fatto scopa’, ossia dopo aver calpestato una merda bella potente in mezzo alla strada”. Quindi è giusto parlare paura “bi-fasica”?
Sì, per il senso di vittoria da una
parte, e gli sbalzi dovuti all’incazzatura
dall’altra. Proprio per un discorso di pulizia e di attrezzi di fortuna trovati
in giro per la strada. E la puzza, poi,
a far da collante. Per la serie, “aboliamo
la scarpa fatta a carrarmato”. Concludendo, portatevi sempre
dietro lo stecco del gelato. Questo in Estate. “E in Inverno?”.
Oh, e in Inverno… non lo so. O forse no? (il Novellista)
In
copertina: l’inizio della Storia.
Nessun commento:
Posta un commento